Un’adolescente violentata e gettata in una piscina, una ragazza uccisa e bruciata, una donna uccisa insieme ai figli da un uomo che poi uccide se stesso, una giovane nigeriana schiavizzata e uccisa a colpi di pistola: sono solo gli ultimi episodi di una lunga serie di violenze.

La violenza degli uomini verso le donne, ormai ne siamo consapevoli, non si può liquidare come patologia di pochi marginali, né come il segno di culture lontane da noi: nasce nella nostra normalità. Anche quando è estrema parla una lingua che conosciamo e che mescola amore, controllo, dipendenza, onore, gelosia, frustrazione, potere… prima di divenire violenza. Enfatizzare l’emergenza nasconde il fatto che si tratta di un fenomeno strutturale e diffuso. Condannare la violenza senza riconoscere la cultura che la produce e la giustifica, è un gesto vuoto.

Solo quando la violenza si fa più estrema l’indignazione pubblica e l’orrore superano la soglia dell’indifferenza quotidiana. Ma la realtà è molto più ampia e profonda ed è fatta di minacce, ricatti, abusi, relazioni di dominio. L’emozione che si è suscitata è un’opportunità per aprire gli occhi su questa realtà.

Ma l’indignazione, ai tempi di Facebook, può essere una trappola: può esaurirsi in tre giorni, per poi passare al prossimo video virale, può soddisfarsi di urlare la richiesta di punizione, può ridursi a esercizio retorico. Specie se chi ha responsabilità politiche si accoda al coro della condanna ma poi lascia che i centri antiviolenza chiudano per mancanza di fondi.

Dopo le ultime, atroci, storie di violenza molti uomini hanno preso la parola pubblicamente, hanno promosso gruppi di discussione, appelli a un impegno comune, incontri in varie città. Sono stati pubblicati sui maggiori quotidiani e sui social network interventi, riflessioni, analisi. Tutti ci pare mettano al centro una consapevolezza nuova: la violenza maschile contro le donne chiama in causa gli uomini, mette in discussione la nostra cultura, le nostre aspettative, le nostre frustrazioni, il nostro modo di stare al mondo e nelle relazioni. Anche diverse voci femminili hanno sollecitato una presenza e un impegno maschile più forte e netto.

Non lasciamo che questa nuova consapevolezza e assunzione di responsabilità durino tre giorni.

Proponiamo a tutti gli uomini che di fronte a queste violenze si sono sentiti colpiti e hanno sentito il bisogno di interrogarsi, di non fermarci qui: organizziamo incontri in ogni città a partire dalle sollecitazioni emerse in questi giorni, coinvolgiamo altri uomini, proviamo a scavare più a fondo e a mettere in gioco noi stessi.

Non partiamo da zero. In questi anni la consapevolezza nel nostro paese è cresciuta. Dieci anni fa nel settembre del 2006, un appello di uomini contro la violenza maschile raccolse molte centinaia di adesioni: da lì si è sviluppato un impegno che ha cambiato molti di noi. Tutto questo resta ancora troppo poco visibile e diffuso nella società e sui media, poco riconosciuto dalla politica e dalla cultura.

Non si tratta di ergersi a giudici di altri uomini o a “difensori delle donne” ricreando un ambiguo paternalismo, o di attivarsi solo per sensi di colpa o senso del dovere, ma di interrogarci sui nostri desideri, sulla capacità di riconoscere la nuova autonomia e la nuova libertà delle donne, dirci se può essere un’occasione di cambiamento delle nostre vite.

La violenza maschile contro le donne è il frutto di una cultura, di una forma delle relazioni tra le persone che genera altre violenze. L’uccisione dettata dall’odio verso le persone omosessuali è parte di questa cultura. Oggi proviamo orrore e ripulsa di fronte alla strage di Orlando. Perché per molti uomini è intollerabile la libertà di una donna così come è intollerabile una sessualità diversa?

La violenza riafferma un dominio, un ordine gerarchico tra i sessi ma anche tra orientamenti sessuali. Anche la violenza omicida e omofoba in Florida è l’estrema espressione di una realtà molto più diffusa fatta di insulti quotidiani nelle nostre scuole e nelle nostre strade, di battute, imbarazzi, discriminazioni ed esclusioni.

La riproduzione e la riaffermazione di ruoli sessuali stereotipati, l’adesione a presunte attitudini maschili e femminili, l’imposizione di una norma nelle relazioni affettive, contribuiscono a generare questa violenza, impoveriscono la libertà di tutti e tutte, costringono le nostre vite in gabbie invisibili.

Crediamo che anche altre violenze, altre sofferenze abbiano a che fare con questa cultura della gerarchia, della paura e del dominio verso chi percepiamo diverso da noi. Così tolleriamo la sofferenza e la morte di chi fugge dalla guerra e dalla miseria in un mondo in cui crescono guerre, violenze, ingiustizie e disuguaglianze, considerando i migranti come minaccia, accettando che siano oggetto di violenze intollerabili ai nostri confini. Dimentichiamo di fatto la gravità della tratta di migliaia di donne schiavizzate per i consumi sessuali maschili. Accettiamo nuovi muri e recinti anziché impegnarci per un ordine internazionale più giusto e non dominato dalla guerra. La violenza razzista e nazionalista che ha ucciso a Londra la deputata Jo Cox è solo l’ultimo segno di un continente europeo avvelenato dall’odio e dall’intolleranza. Ci aggrappiamo a false identità collettive anziché scommettere sulla singolarità di ognuno e ognuna e sulla curiosità e l’apertura reciproca.

Trasformare questa cultura, vivere il cambiamento che le donne hanno già da molti anni determinato, sono anche un’occasione di libertà per noi uomini, possono arricchire e aprire le nostre vite. Possono rendere possibile un cambio di civiltà, che riguarda tutti e tutte.

Impegniamoci ad organizzare come uomini per il prossimo autunno in tutt’Italia una giornata nazionale contro la violenza maschile che coinvolga il più possibile il mondo della scuola, dell’informazione, della cultura, della politica e dell’associazionismo, ed anche quei singoli uomini che già si sono espressi pubblicamente in quest’ultimo periodo, per diffondere al massimo la sensibilità e l’impegno fra tanti ragazzi e adulti ancora troppo silenziosi, isolati e confusi.

Una giornata che volutamente si svolga prima della Giornata internazionale del 25 novembre contro la violenza sulle donne, per prendere parola come uomini prima del richiamo rituale di una ricorrenza importante: per cambiare, per agire prima della violenza.

Proviamo a darci un tempo di ascolto e dialogo, d’iniziativa e riflessione: tre mesi durante i quali trasformare l’indignazione in occasione di cambiamento. Costruiamo così, insieme una giornata nazionale in autunno contro la violenza.
Raccontiamoci anche le tante iniziative tra uomini e tra uomini e donne già impegnate su questo difficile terreno.